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LA PIENEZZA DI SENSO - Confronto tra metodo storico-critico e lettura cabbalistica nell’interpretazione di Ct 8,1-7

Estratto dalla tesi di Baccellierato di Olga Gulisano.

La scelta della redazione di una tesi esegetica è scaturita dall’amore per la Sacra Scrittura nata in questi anni di studi teologici. L’amore per Dio ha portato all’amore della conoscenza di ciò che lo riguarda, di quella storia che costruita nel tempo ed è insieme Parola e Tradizione, ha permesso uno sguardo più ampio e profondo della fede. L’amore per la conoscenza poi ha spalancato e rivangato l’amore e la riflessione per la categoria di relazione che comprende in sé tutta l’esistenza nei suoi molteplici aspetti, in primis l’uomo e da ciò è stata dettata la scelta del Cantico. L’innegabile fragilità umana racconta di colui che fatto di carne e spirito, in balia di passioni contrastanti, intriso di sublimi intenzioni e propositi e tuttavia capace di grandi misfatti, mentre è chiamato a fare i conti con la propria umanità ferita ma infinitamente bella, cerca la propria realizzazione in un mondo in cui non ha scelto di essere e che acquisisce senso solo quando scopre l’amore. Strabiliante è aver capito che esso si realizza nella misura in cui non è autorealizzazione, quanto invece affermazione prodigiosa del proprio io attraverso e solo grazie ad un tu diverso che completa. Il passaggio obbligato per giungere alla verità di sé stessi, del rapporto col mondo e con Dio è allora la relazione con l’altro. Gli otto capitoli su cui si dispiega la narrazione della storia avvincente di questi due giovani innamorati è ricca di momenti esilaranti, ma anche mesti. Il filo rosso dell’intero racconto è il desiderio irrefrenabile dell’amore suscitato dall’esserci dell’altro. L’iniziativa dell’amore inoltre, quasi del tutto al femminile, rivela l’audacia della figura della donna che nel contesto biblico veterotestamentario emerge più di quanto si pensi. I movimenti dettati delle azioni dei protagonisti, e ancor più della protagonista, oscillano tra le tappe di un percorso ben scandito e che appare ripresentarsi in ogni storia d’amore: il desiderio, la mancanza e la malattia dell’amore, la ricerca ostinata del partner, la sua perdita, il suo ritrovamento e l’unione con lui. L’espressione più alta si ritrova però solo alla fine del componimento, lì è infatti condensato il grande imperativo che comanda l’esclusività di un rapporto che non ha limite neppure di fronte alla morte e che per questo, rivela l’origine divina di tale amore.

Impastati di relazione e viventi per essa, ci si rende conto che da una relazione veniamo e che per suo mezzo siamo chiamati a prendere posto nel mondo senza possibilità di svincolare dal legame con l’altro e con gli altri. Senza voler troppo dire su questo argomento, forse bistrattato più che mai, preme soltanto richiamare all’attenzione la lettura di un passo biblico che nella sfrontata bellezza del suo linguaggio simbolico e così profondamente veritiero continua a sussurrare al cuore del lettore una grande verità. Nascosta tra le righe del testo, o meglio, dietro un nome tanto importante e quasi evanescente, quello di Dio, essa consiste nell’inebriante esperienza della relazione d’amore tra uomo e donna che, umanamente sperimentabile nella sua forza prorompente, sgomenta per la tenacia della sua resistenza di fronte a tutto, persino la morte, mentre atterrisce la sua gelosia che arde come vampe di fuoco. Quest’amore è anzitutto l’amore di Dio, perché solo a lui appartiene e da lui ha origine, perché solo il riferimento a lui rende la sussistente grandezza dell’amore che supera ogni aspettativa unicamente umana. Dell’amore all’uomo è fatto dono e così amore e relazione risultano un tutto inscindibile. In un testo biblico dal tono “profano” e dunque diverso dagli altri trova spazio la Rivelazione, ovvero la voce e il mistero svelato della volontà di Dio che si fa storia per la salvezza dell’uomo e per il raggiungimento del suo progetto originario: la comunione con lui. Tanto grandi allora sono il significato e il senso della Scrittura. Ogni libro biblico, con le sue parole umane e divinamente ispirate, ci trasmette un particolare aspetto della realtà, della verità che le appartiene e così, nella Bibbia, tutto l’uomo è contenuto.

D’altra parte lo sguardo gettato alla speculazione cabbalistica ha mostrato l’abilità umana nel ricercare strade mai battute prima. Ha riferito pensieri altri perché parte della metà sconosciuta di quella medaglia che è la conoscenza del mondo. Nell’intreccio intricato di lettere e numeri, mondi inferiori e superiori affiora l’urgenza di una realtà che tende a ricapitolarsi a partire dal suo stato iniziale: l’affascinante legame tra divino e umano che intercorre e irrora tutte le cose. Di questo emblema è il rapporto tra maschile e femminile e in particolare la consumazione del loro amore. L’amore dunque è già presenza inspiegabile di Dio nell’uomo, l’amore è già presenza redentrice per quei due che si amano dal profondo delle loro anime. Il sapore del viaggio intrapreso nella lettura delle pagine ha il gusto di una conoscenza della relazione d’amore mai definitivamente posseduta: alla portata dell’uomo, lo oltrepassa di gran lunga; proprietà di Dio,

non è rimasta inaccessibile. Tale relazione d’amore bussa ancora all’umanità affinché si adoperi a ricercarla e trovarla conscia di essere il senso nascosto tra le pieghe dell’esistenza stessa.

Tutto questo appare esplicitato dalla confluenza delle letture e analisi del testo proprie sia del metodo storico-critico che di quello cabbalistico con l’intento di far emergere il senso pieno del testo.

Il metodo storico - critico e il metodo cabbalistico si configurano come due vie ognuna delle quali presenta una propria epistemologia. Esse sono frutti diversi dell’unica storia travagliata dell’interpretazione della Scrittura. Il primo metodo ha tentato, con l’uso delle proprie critiche, di addentrarsi nell’origine, nello sviluppo e nella composizione finale del testo senza riuscire a giungere ad affermazioni storicamente e criticamente certe.

Del Cantico non si conosce quasi nulla. Non l’autore, non una data certa di composizione, non il genere letterario che gli appartiene in senso proprio, non il luogo. Le interpretazioni a questo attribuite nel corso del tempo sono state varie e spesso, hanno cercato di rifuggire la tentazione di leggerlo solo sullo sfondo di una sua comprensione letterale. Di fatto bisogna ammettere il grande beneficio dell’interpretazione simbolica del testo: aver mantenuto viva la fede circa l’amore particolare di Dio per la sua creatura. D’altra parte il tentativo di avallarne unicamente l’interpretazione allegorica sembra aver soffocato ciò che il testo ci restituisce nel senso prossimo delle parole utilizzate le quali, a volte, hanno un significato inequivocabile.

L’analisi esegetica di Ct 8, 1-7 ha mostrato il difficile cammino dell’amore a cui si sottopongono ogni donna e ogni uomo per giungere al culmine della maturità relazionale: quella in cui l’amore resiste alla morte e lo vince. È un amore passato attraverso il desiderio dell’altro e quindi della sua appassionata ricerca, è un amore che ha reso malati fino a che non ci si è conosciuti e donati. È un amore perso, ferito e ritrovato. È un amore geloso, dirompente più della forza delle acque, sigillato dall’unione dei due. Da esso e per esso la fatica di un percorso che sembra tornare all’origine: Jah.

Il secondo metodo esegetico, costituito dall’esempio di R. Ezra di Gerona, si inserisce all’interno di una lettura profondamente mistica del testo. Lo sposo è Dio o la sua Gloria, la sposa Israele incontrata dalla Shekhinah, costante presenza divina nella vita del popolo, simbolo di un Dio che non lo ha abbandonato. Il loro

rapporto è vissuto nella tensione costante tra mondo superiore e inferiore. Il primo va conosciuto perché il secondo possa ascendervi e si possa così ristabilire l’unione originaria tra i due, perché tutto possa tornare all’Uno.

I due metodi, distanti tra loro per il tempo e l’approccio conoscitivo al Cantico riescono a restituirci insieme, nella confluenza delle loro distinte interpretazioni, il senso pieno del testo. È vero infatti che la lettura esegetica del metodo storico-critico adotta quale prospettiva d’interpretazione del testo quella “dal basso”, ovvero quella secondo la quale il testo vada anzitutto riletto avendo come punto di riferimento principale il desiderio e l’esperienza dell’amore iscritti e vissuti nella carne dell’uomo e suo aspetto costitutivo.

La lettura cabbalistica, pur tenendo in considerazione nella propria riflessione tale aspetto costitutivo come forza primordiale, conservatrice e perfezionatrice del mondo ha tuttavia, quale punto di partenza e come dimostra il commento di r. Ezra di Gerona, una visione “dall’alto”, quella di Dio e delle sue emanazioni che s’impegnano ad attrarre il mondo creato verso quello sovrastante in cui è possibile unirsi a Dio stesso.

Per la prima lettura il punto di partenza è la visione dell’amore dei due amanti che fa scorgere, in maniera velata, la sua origina divina; per la seconda il punto di vista iniziale è invece quello di Dio che riversa il suo amore nella comprensione del mondo. L’intelligenza del mondo, il suo senso profondo non sono facilmente rintracciabili e intuibili. Il cabbalista diviene un uomo mistico per lo sforzo costante di conoscere la verità iscritta nelle singole lettere della Bibbia, nella conoscenza dell’uomo, del cosmo e delle altre scienze. Solo in tal modo si può giungere alla conoscenza di Dio.

Nella prima lettura, segretamente, dietro l’agire umano si intravede l’origine e il volere divino, nella seconda, segretamente, dietro l’agire e il volere divino s’intravedono il cosmo e l’uomo vie per ritornare a Dio. Il mistico pertanto, nel suo cammino ascetico e contemplativo, non desidera altro che essere restituito al principio del suo essere.

La prima lettura è attenta alle parole del testo da cui traspare tutta la bellezza dell’amore che passa attraverso l’esperienza della sessualità; quella di r. Ezra di Gerona è attenta all’interpretazione allegorica del Cantico tanto da additare Dio quale grande protagonista, insieme al suo popolo, dell’intera vicenda.

In entrambe il desiderio è il filo rosso della ricerca e l’unione il sigillo dell’incontro d’amore. In entrambe sono l’uomo e Dio legati insieme dal vincolo della sponsalità. Gli amanti si rincorrono per unirsi e sentire realizzato in pienezza il loro amore, la Shekhinah e le sefirot si adoperano perché l’uomo e il cosmo possano tornare all’originaria comunione e unione con l’Uno.

La prima lettura accentua fortemente la natura umana dell’amore, la seconda la sua natura divina. Si ritiene allora che la pienezza di senso del testo emerga proprio da tale considerazione. Le due letture si completano poiché dimostrazione del fatto che divino e umano s’intrecciano nella storia e nello sforzo d’interpretazione di quell’unica Parola che è Parola di Dio rivolta all’uomo il quale, a sua volta, effonde il suo cuore dinanzi a lui (cfr. Sal 45). È in tale effusione che l’uomo consegna tutto ciò che gli appartiene e prima di tutto l’amore sperimentato. Il dialogo degli amanti, il vissuto della loro storia d’amore allora, per analogia, è anche il dialogo e il vissuto della storia d’amore tra Dio e la sua umanità. Lo insegna la Scrittura, lo conferma la lettura cabbalistica. La confluenza delle due letture appare restituirci l’ampio respiro della natura dell’arte ermeneutica, rimanendo sempre vera l’affermazione convinta e stupita del salmista: «una parola ha detto Dio, due ne ho udite» (cfr. Sal 62,12). È nella Parola di Dio che si ritrova la ricchezza variopinta delle sue molteplici interpretazioni. Nel Cantico il progetto genesiaco iniziale ritrova il suo eco e la sua conferma; nel Vangelo il Cantico trova il suo compimento. Se l’amore infatti ha origine divina ed è Dio stesso e se Dio lo ha dato in dono e lo ha reso manifesto nella capacità di agire dell’uomo, tutto questo si è pienamente realizzato in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. La grande speranza di vivere in Dio e per lui ha come unica voce quella che proclama che ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο, il Verbo, Dio si è fatto carne. (Gv 1,14).

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